On the road-Jack Kerouac

“A quel tempo danzavano per le strade come pazzi, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno “Oooooh!”.

On the road, romanzo autobiografico scritto da Jack Kerouac e pubblicato nel 1957, si consacra presto come simbolo della Beat Generation di cui lo scrittore è voce portante. Ambientato nell’America degli anni ’40 affronta diverse tematiche in voga in quel periodo storico: la sperimentazione di droghe, il sesso, il rifiuto di norme sociali imposte e irrequietezza dell’essere.

Il romanzo, suddiviso in cinque parti, narra di una serie di viaggi ed episodi avvenuti attraverso gli Stati Uniti, permettendo al lettore di percepire sensazioni talmente vivide da avere l’impressione di viaggiare con i protagonisti, di conoscere le loro storie di vita intrecciate a quelle di gente estranea con la quale si viaggia per un paio d’ore, una notte,  per lunghi giorni facendo l’autostop.

E’ dunque la storia di un viaggio, un viaggio lungo durato due anni, dettato dalla ricerca del sé, dalla fuga dalla noia e dalla quotidianità, dalla ricerca di luoghi sempre diversi per sperimentare nuove emozioni e allontanare tutto ciò che potesse essere considerato alienante. Il romanzo descrive pienamente i giovani ragazzi del movimento culturale di quegli anni: il loro inconfondibile stile di vita contrapposto agli ideali borghesi dell’epoca, un accentuato individualismo, la libertà personale, la voglia di esperienze sempre diverse per riempire un vuoto pressoché esistenziale. Scorrendo le pagine del libro si ha l’immediata percezione che questa scelta di vita celi in realtà disagi dell’essere, la paura della solitudine, della morte, l’ansia di vivere…

La vita scelta da Sal Paradise e Dean Moriarty (trasfigurazioni letterarie di Jack Kerouac e Neal Cassady) è una vita nomade, permeata di continue e diverse esperienze, ma soprattutto di inquietudine e  incapacità di accettare la società  e le sue norme, che li porterà a spostarsi da uno Stato all’altro al fine di trovare una propria dimensione, un punto fermo e stabile, senza però riuscirci. Ciò descrive principalmente la condizione di Dean, il quale spingerà Sal ed i suoi vecchi amici a conoscere, sperimentare, ricercare. Non si sa esattamente cosa, ma la fuga è la risposta a qualunque dramma esistenziale o irrequietezza. Il viaggio e la strada sono la vita. L’anima è sofferente, instabile, la sola a domarla e ad assecondarla è la strada. Si parte, si abbandona la propria quotidianità e la certezza per l’incerto, ma solo le anime coraggiose e pazze sono capaci di tali atti. Forse amano talmente tanto la vita da non voler vivere relegati in un angolino del mondo per tutta l’esistenza, incontrando sempre gli stessi volti, vivendo quella quotidianità e quelle abitudini che, spesse volte, tanto soffocano…e allora si, l’unica via di fuga ad una vita meccanica e alienante è la strada. Ed anche io, come Dean Moriarty, penso che non ci sia nulla di più vero.

“Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché arriviamo.

“Finché arriviamo dove, amico?”

“Non lo so, ma dobbiamo andare”.

 

Antonia

 

Nostalgia

Oggi è uno di quei pomeriggi in cui non riesco a non pensare a Londra, città che da sempre porto nel mio cuore. Non riesco a non pensare ai posti visitati, alle strade percorse, alle persone incontrate lungo il mio cammino. Ho nostalgia, nostalgia della mia vita lì, delle mie amicizie, di Camden Town, del non-caffè di Caffè nero, dei parchi, degli autobus a due piani, dei fine settimana che aspettavo con tanta foga, della pioggia, del tempo così troppo mutevole, delle mie letture a Regent’s Park a due passi dalla mia vecchia casa. Ho nostalgia della mia vita londinese. Non passa un giorno che non dedichi un pensiero a quella città e sorrido. Sorrido perché la felicità che Londra ha saputo darmi non mi è stata trasmessa da nessun’altra città in cui ho vissuto.

Vivere lì non è stato così semplice, anzi tutt’altro. E’ una città immensa, stancante, costosa. Vivere a Londra mi rendeva entusiasta, ma gli ultimi mesi della mia permanenza sono stati davvero difficili, tra lavoro, volontariato e studio. Era un periodo di mille dubbi: “continuare a vivere a Londra?!” o “tornare in Italia e frequentare la specialistica?!”. E poi…si, questa è stata la mia scelta finale. Dovevo sentirmi completa e concludere il mio percorso di studio. Adesso, dopo quasi due anni che ho lasciato Londra, posso dire di aver fatto la scelta giusta. Magari un domani ritornerò a vivere lì. La vita riserva sempre tante sorprese!

Ma si, il mio cuore l’ho lasciato in quei posti, per me meravigliosi. Ero bambina e non facevo altro che ripetere che la mia città preferita fosse Londra, pur non avendola mai vista. Sono passati vent’anni e nulla è cambiato. Ho avuto la possibilità di viverci, vi faccio ritorno ogni anno, e ogni volta la amo un po’ di più.

Qui in basso è riportato un estratto del film “The hours”, quando Virginia Woolf dice al marito, Leonard Woolf, di voler ritornare a Londra. La sua città. La città che tanto amava. Ecco, talvolta la mia mancanza di Londra è paragonabile allo stato della scrittrice londinese:

I’ve endured this custody. I’ve endured this imprisonment. I am attended by doctors. Everywhere. I am attended by doctors who inform me of my own interests. They do not speak for my interests. My life has been stolen from me. I’m living in a town I have no wish to live in. I’m living a life I have no wish to live. How did this happen? It is time for us to move back to London. I miss London. I miss London life. I’m dying in this town.

Antonia

Today is one of those days that makes me think about London. The city that I keep in my heart. I cannot stop thinking about the British places in which i have been; the people i have met while i lived in London. I have nostalgia, nostalgia for my life there, nostalgia for my friends, for the things I miss the most: Camden Town (my favourite place ever); the “non-coffee” in Caffè Nero; parks; double-decker buses; week ends that I waited with so much excitement; rain; even the British weather that is so much changeable; my readings in Regent’s Park close to my old house. I always spare a thought for that city and I smile. Exactly, I smile because London gave me so much happiness more than any other city in which i have lived so far.

The life there was not that easy. It’s such a big, tiring and expensive city. Anyway I was so happy to live there, it was kind of a dream, but the last months spent in London were exhausting, I had so many things to handle. It was a period full of doubts: “Do I have to go back to Italy? Do I have to keep studying in Italy or in England?” Fortunately, I have no regrets about my last decision: I am very happy to study in Italy. Maybe one day I will go back there. Who knows!

I have left my heart there, in those fantastic places. I was only a child, I was 6 years old (yeah I still remember that) and I kept saying that my favourite city was London, even though I had never been there. After twenty years nothing has changed. I had the chance to live in London, I go back there every year and each time I love it a little more.

This is an extract from the movie “The hours” when Virginia Woolf says to her husband, Leonard Woolf, how much she loves London. Sometimes, when I feel nostalgic I can compare myself to Virginia Woolf. I have the same feelings for London. The same.

I’ve endured this custody. I’ve endured this imprisonment. I am attended by doctors. Everywhere. I am attended by doctors who inform me of my own interests. They do not speak for my interests. My life has been stolen from me. I’m living in a town I have no wish to live in. I’m living a life I have no wish to live. How did this happen? It is time for us to move back to London. I miss London. I miss London life. I’m dying in this town.

Antonia

Russia-il viaggio

Oggi voglio scrivere della Russia, Paese in cui ho avuto la fortuna di vivere per ben quattro lunghi e freddi mesi. Eh già, grazie ad una borsa di studio dell’Università ho avuto la possibilità di trasferirmi in una città a Nord della Russia, Yaroslavl’, forse a molti sconosciuta, ma ben conosciuta e apprezzata sia dai russi che da coloro i quali hanno in programma un bel viaggetto nel cosiddetto anello d’oro. Infatti Yaroslavl’ insieme ad altre dieci città appartiene al gruppo di città più storiche della Russia, ricche di Chiese e Monasteri.

Ricordo che era il mese di maggio ed io ero in viaggio, quando consultando la mia posta elettronica mi accorsi che era appena arrivata una mail dalla Professoressa di Lingua Russa. Non sto a dirvi l’emozione provata nel leggere che ero una delle vincitrici della borsa di mobilità extraeuropea. L’emozione fu incredibile, tanto da avere gli occhi pieni di lacrime. Eh già, è stata non solo una grande soddisfazione, ma la prova che non fa male sognare, anzi…forza di volontà, pazienza, costanza e tanta passione sono fondamentali per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Dalla comunicazione della vittoria della borsa sino alla partenza, è stato un continuo viaggiare tra Napoli- Roma- Consolato Russo-Ufficio della Professoressa. Per non parlare degli innumerevoli problemi incontrati per il rilascio del visto e la preoccupazione che sarei potuta partire in ritardo. Problemi ordinari per la burocrazia russa.

Finalmente dopo tre mesi di attese e una buona dose di ansia è giunto il gran giorno, sembra ieri: 01/09/2015. In partenza da Roma con me c’era un’altra ragazza, poi divenuta un’amica, Marta. Non sapevamo cosa ci aspettasse, ma entrambe, nonostante ci trovassimo sull’aereo diretto a Mosca, ancora non riuscivamo a renderci conto che la nostra vita sarebbe stata differente per ben quattro mesi.

Arrivo a Mosca. Da premettere che la lingua veicolare non è l’inglese, bensì il russo. Grosse risate. Il russo, a mio parere, è tra le lingue più difficili al mondo, ed esprimersi non è affatto, quella che si direbbe, una passeggiata. Una montagna ripida da scalare, rende di più l’idea. Mosca risulta, inoltre, essere al primo posto tra le città più ostili nei confronti degli stranieri, per cui non solo non troverete insegne scritte in inglese, ma nessuno disponibile a parlare una lingua che non sia il russo.

Ritorniamo al punto principale. Arrivo a Mosca, saliamo in taxi e giungiamo alla stazione che avrebbe dovuto condurci a Yaroslavl’. Altre quattro ore di viaggio in un fantastico treno di stampo sovietico. Disagi e incomprensioni, soprattutto quando un uomo, gesticolando, si offre di portarci le valigie, quattro in totale senza contare gli zaini- ma si certo, facciamoci aiutare!- ecco spesi i primi 600 rubli, per carità una somma esigua, ma avremmo evitato volentieri.
Finalmente capiamo quale sia il nostro treno, mancavano esattamente cinque minuti alla partenza. Panico. Cominciamo a correre nonostante il peso delle valigie, ma riusciamo ad arrivare al nostro vagone. Ecco, un altro problema. Tra la banchina ed il treno vi è una distanza inimmaginabile, quindi proviamo con il salto in lungo. “Tutte esperienze”- continuiamo a ripeterci, ed è quanto ci ripeteremo da quel momento in poi. Finalmente siamo sane e salve sul treno.

Arriviamo a Yaroslavl’ alle 22. Ed ora? Ovviamente non c’era nessuno che fosse venuto a prendere queste due povere, esauste e ancora increduli ragazze. Ad un tratto siamo braccate da un tassista che vuole a tutti i costi darci un passaggio, è l’unico e sembra ubriaco. Cosa facciamo? Accettiamo o trascorriamo la notte in stazione? Accettiamo seppure poco convinte e preoccupate. Dopo una corsa in taxi da fare invidia alle più veloci gare di Fast and Furious, giungiamo allo studentato. In un bosco. Alberi. Alberi. Alberi. Buio. “Vabbé forse ci stiamo impressionando, non scorgiamo nulla perché è ormai buio.” Ad accoglierci due gattini affamati e ragazzini russi che ci aiutano con le valigie. Una specie di receptionist russa di circa ottant’anni, con aria di sufficienza ci mostra la stanza. Wow. Uno sgabuzzino per due persone. Non male la nostra dimora per i prossimi quattro mesi. Disfiamo le valigie e cominciamo a rendere quella stanza più vivibile. Forse ci riusciamo, ma i primi giorni saranno traumatici, soprattutto per la nostra schiena. Eh già, non abbiamo materassi morbidi e confortevoli, ma assi di legno sui quali poggia un finto e sottilissimo materasso. La stanchezza sopraggiunge e andiamo a dormire. Alle 11 del giorno successivo abbiamo appuntamento con un ragazzo francese ed uno americano. Eravamo noi gli unici quattro stranieri in uno studentato di russi. Veran, il ragazzo francese, ormai già da mesi lì a Yaroslavl’ ci mostra quali autobus prendere per raggiungere il centro e quindi l’università, no no, non sono autobus, ma pulmini, in russo marshrutka.
Sembra ancora un sogno, non sembra vero di trovarsi in una bellissima e caratteristica città russa. Così lontani dalla realtà a cui siamo abituati. E’ come se fossimo state catapultate in un mondo completamente diverso. Veniamo accompagnate in giro per le strade di Yaroslavl’, impossibile non notarne la bellezza e la particolarità. Ovviamente qualunque tipo di spiegazione e/o conversazione è tenuto in lingua russa. Traumatico per me, almeno all’inizio. Prima di assestarci e decidere le materie da seguire, trascorrono diverse settimane. Alla fine ci siamo: Lingua russa per stranieri- Storia della Letteratura russa accompagnata dalla pratica- Stilistica e cultura del discorso. Un po’ difficile all’inizio seguire materie così impegnative in lingua russa, ma a lungo andare riusciamo a seguire l’80% delle lezioni. Il russo dopo un’ora provoca mal di testa! La parte interessante di tutto ciò è stato il tirocinio come Insegnante di Lingua Italiana per i russi all’Università. Avevamo una classe di dieci alunni, tra cui Professoresse e tutti molto felici di imparare la nostra lingua, eh si perché è indiscutibile l’amore nutrito dai russi verso la cultura italiana. L’esperienza dell’insegnamento della Lingua Italiana è tra le cose più belle che abbia mai fatto.

Antonia